Tutti i Forum
Forums Generali
TALK
adsl |
|
Tutti gli Utenti possono inserire nuove Discussioni in questo Forum Tutti gli Utenti possono rispondere alle Discussioni in questo Forum
|
|
|
|
Spedito - 14/09/2004 : 20:02:40
|
Interessante intervista dell'inizio del 2003 sull'adsl
L' ingegner Paolo Nuti, presidente di MC-link s.p.a, è uno dei "padri fondatori" dell'internet in Italia. Ne ha seguito gli sviluppi fin dai tempi delle BBS, quando MC-link era uno sgabuzzino con qualche decina di modem e nessuno poteva prevedere le dimensioni che avrebbe assunto lo sviluppo delle attività telematiche una decina di anni dopo. Come presidente dell'Associazione italiana internet providers, Nuti è in costante contatto con le autorità che in un modo o nell'altro determinano le linee di sviluppo dell'offerta dei servizi di telecomunicazioni: la persona giusta a cui rivolgere qualche domanda che ci poniamo da tempo (vedi l'intervista a Francesco Chirichigno e Ma la banda deve essere soprattutto "lunga").
D. Telecom Italia ha recentemente annunciato un ampliamento del piano di copertura ADSL: entro il 2003 saranno collegati 1300 comuni, per il 74 per cento della popolazione e quindi dei potenziali utenti. Il dato può essere letto al contrario: per il 26 per cento della popolazione e circa l’80 per cento dei comuni non si sa se, e quando, ci sarà la disponibilità del collegamento. Questo è il punto sul quale si deve riflettere: l’80 per cento dei comuni italiani sarà al di là della linea immaginaria del digital divide. E, siccome saranno coperti i comuni dove c’è una situazione economica più favorevole, la banda larga non arriverà proprio dove sarebbe più utile, per favorire la crescita delle aree meno sviluppate. A parte la difficoltà di confrontare i dati dell’operatore telefonico con quelli previsti nel piano fatto preparare dai ministri Stanca e Gasparri, quali soluzioni si possono immaginare per spostare più lontano possibile la linea del digital divide? Quanto costerebbe collegare tutta la popolazione?
R. Espandendo i dati di Telecom Italia possiamo fare una valutazione di massima di questo impegno. Il vecchio piano di Telecom Italia prevedeva il 71 per cento della popolazione, 800 città e 1.800 stadi di linea. Il nuovo piano fa salire il numero degli stadi a 2.100 le città passano a 1.300, ma la popolazione coperta passa solo dal 71 al 74 per cento. Questo significa che per un delta del 3 per cento della popolazione bisogna mettere sul campo qualcosa come 300 stadi di linea.
D. Spieghiamo un po’ che cosa è uno stadio di linea.
R. Per distribuire l'ADSL occorre il DSLAM (Digital Subscriber Line ATM Multiplexer, n.d.r.), la batteria di modem che viene installata nella centrale, dalla quale si parte col filo di rame dell’ultimo miglio fino a casa dell’utente (e che può essere in unbundling). Il DSLAM deve essere necessariamente installato nello stadio di linea, cioè nella centrale sulla quale è attestata l’utenza. Altrimenti non è più xDSL, ma è una copertura mista in parte in xDSL, in parte con un’estensione CDN (circuito diretto numerico, n.d.r.). Sarebbe la soluzione ottimale dal punto di vista dell’economia di scala, ma non può essere attuata perché il prolungamento CDN costa, di listino, 20, 50, 100 volte più del wholesale (prezzo "all’ingrosso", n.d.r.) dell’xDSL. Inglobarlo nel prezzo dell’xDSL significherebbe evidenziare quali sono i veri costi dei CDN, e questo Telecom Italia non se lo può permettere...
D. Abbastanza chiaro. Ora la domanda è: quanti DSLAM occorrono per coprire il territorio, quanto costano?
R. Il discorso è in questi termini: gli stadi di linea in Italia, per coprire il 100 per cento della popolazione, sono circa 10.400. Per essere precisi, il 100 per cento non è raggiungibile: c’è comunque una popolazione non servibile, perché non è collegata direttamente a una centrale telefonica ma, per esempio, da un prolungamento via radio, che non può trasportare un segnale DSL, come accade in alcune località di montagna; a volte ci sono delle centraline digitali che, dal punto di vista dell’utente finale, appaiono piccole centrali telefoniche, magari messe in un armadio stradale, ma sono semplicemente un organo di prolungamento della linea, che fa passare solo i circuiti che servono ai normali telefoni (si usa nelle zone rurali). In tutti questi casi non è possibile fornire il servizio xDSL. Non so quanto incidano effettivamente queste situazioni. Ma per coprire quel che resta, il 95 o più per cento con xDLS e unbundling dell’ultimo miglio in rame, bisognerebbe portare gli stadi di linea coperti dai 2.100 attualmente previsti alla totalità, circa 10.400. Quindi si dovrebbe fare un investimento addizionale dell’ordine del 400 per cento di quello attuale, più o meno. Se l’investimento attuale è intorno ai 500 milioni di euro, ne servono altri 2.000. Se consideriamo che in alcuni di questi stadi di linea, come a Roma o a Milano, l’investimento in un DSLAM è molto concentrato, il servizio universale si dovrebbe far carico di un investimento cinque volte quello attuale, un onere eccessivo. Quindi bisogna trovare delle soluzioni alternative.
D. Ma quanti utenti occorrono per rientrare dall’investimento necessario per installare un DSLAM?
R. Il calcolo è complesso. In linea di massima possiamo dire che 120 utenti portano al break-even, non dell’installazione in quanto tale, ma del DSLAM, perché non c’è solo il costo dell’apparecchiatura. Ci sono tutte le opere accessorie. Il problema è che le tariffe del wholesale sono scese sostanzialmente rispetto a quando è stato fatto questo conto e devono scendere ancora. Questa è una delle richieste che AIIP ha portato recentemente in questi giorni con forza all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dimostrando anche il perché e il come, sostenendo con argomentazioni abbastanza importanti queste richieste. Quindi probabilmente non bastano 120 clienti per stadio di linea per giungere al pareggio in un arco di tempo ragionevole: poi bisogna anche dare il servizio. Però teniamo presente che uno stadio di linea nella media nazionale ha 2.700 clienti di telefonia. La percentuale di italiani che usa internet si è attesta intorno al 25-30 per cento (come clienti, la singola utenza telefonica ha più di un utente che usa la rete). Quindi possiamo dire che in media uno stadio di linea ha 650 clienti internet. Ora bisogna capire quanti di questi sono interessati ad avere la larga banda e quindi un costo fisso mensile in sostituzione del costo variabile dell’accesso dial-up. In linea di massima si può dire che il costo dell’installazione per un singolo cliente, considerando anche il contorno (sistemi di "provisioning", "customer care" e gestione della rete, splitter in centrale e lato utente, modem o router lato utente, etc, è di circa 500 euro. Quindi per ogni 1.000 nuovi clienti si deve investire mezzo milione di euro. In via puramente ipotetica, dopo aver saturato il mercato, si potrebbe arrivare a una copertura totale degli stadi di linea, che non significa copertura totale del territorio. Allo stato delle cose, siccome la larga banda ha circa 600.000 clienti, siamo lontanissimi dal poter pensare piani di espansione di questa portata, se non facendo investimenti non remunerativi dell’ordine di 3-5 miliardi di euro.
D. A questo punto, come si dice, "la domanda sorge spontanea": come soddisfare tutti quelli che possono avere la necessità di un collegamento a larga banda e non si trovano in un’area in cui l’investimento sia remunerativo per un operatore?
R. Il problema è come coprire quel 25 per cento circa della popolazione italiana che, secondo i piani di Telecom Italia, nel prossimo futuro non potrà avere l’ADSL. Il sistema più semplice, in prima battuta, è il satellite, che ha pregi e difetti. Il pregio è che ha la copertura del 100% del territorio e della popolazione. Dopo di che, ha solo difetti. Innanzitutto, posto di pagare un canone fisso più o meno pari a quello dell’ADSL, si deve aggiungere altrettanto di telefono, perché per usare il satellite si deve anche fare una telefonata. Per risolvere il problema bisognerebbe combinare il satellite con un accesso telefonico "flat-rate". C’è anche la possibilità di collegamenti satellitari bidirezionali, ma costano molto di più. Il satellite è molto costoso ed è destinato a costare sempre di più, perché c’è abbastanza banda disponibile finché siamo nella fase di start-up, dopo ci sarà solo se si pagherà di più, perché i prezzi dei trasponder sono elevati. Calcolando la banda pro-capite e il costo del trasponder, il conto è abbastanza facile: un trasponder di 40 megabit/s costa circa un miliardo al mese e, sulla media degli utenti, la banda necessaria per servire decentemente un cliente a 640 kbit/s (che non faccia un uso esteso del downlowd di file musicali o video) è 20 kb/s. Ma, rispetto alla fibra ottica, c’è una differenza fondamentale: il satellite è un sistema broadcast, per cui la banda viene trasmessa a tutti, ma "buttata via" da tutti tranne uno, quello che ha richiesto la trasmissione. Questa utilizzazione di un sistema broadcast per fare unicast, sia pure unidirezionale (con l’uplink via telefono) è uno spreco. Invece io vedo benissimo il satellite per lo streaming in IP, ma per applicazioni diverse dalla navigazione. Se vogliamo fare e-learning, distribuire corsi con il mezzo più economico possibile, fare effettivamente una videotrasmissione broadcast o multicast, verso mille soggetti che ricevono tutti gli stessi contenuti, è sicuramente conveniente, rispetto alla fibra ottica. Ma l’idea di utilizzare estesamente il satellite per trasmettere contenuti variabili, unicast, essendo nato per il broadcast, suscita non poche riserve.
D. Il satellite è sistemato... Ci sono altre soluzioni?
R. Ce ne sono molte altre. Il secondo modo per fare arrivare la larga banda in luoghi dove non ci sarà mai la copertura xDSL è scavare e portarcela con i cavi. Ma chi sta scavando, lo fa nelle zone più redditizie, quindi nelle città. Cosa resta per coprire con una certa efficienza nelle zone rurali? Con una certa dose di buona volontà si potrebbe anche pensare di scavare, non per servire un casolare isolato ma, per esempio, una zona industriale o un centro di telelavoro. Partendo da un certo abitato importante, dove sia in qualche modo arrivata la larga banda (e c’è dappertutto, perché ormai la fibra arriva almeno in tutti i capoluoghi di provincia) e tenendosi a qualche decina di chilometri, lo scavo in campagna costa molto meno dello scavo in città, circa un quarto. Ci sono già alcune - poche - iniziative regionali in questa direzione, che non vanno dimenticate.
D. Ma come si fa la distribuzione del segnale dal punto in cui arriva il cavo?
R. Si porta il cavo in una centralina, dove viene convertito in Ethernet, che poi è facile distribuire a un costo relativamente basso. Non bassissimo, perché occorre rispettare una serie di norme che fanno aumentare i costi, non è come installare un cavo in casa.
D. Ma anche in casa, se si vogliono rispettare tutte le disposizioni in materia, bisogna chiamare uno specialista.
R. Questo è un problema del quale sarebbe opportuno parlare a fondo. Ma ci porterebbe fuori strada. Restiamo al problema dalla larga banda e alle soluzioni alternative. Ci sono ancora altre possibilità. Una è il Wi-Fi. Il Wi-Fi, con le normative tecniche utilizzabili in Europa, ha una portata molto limitata. Bisogna aprire una parentesi su questo punto. Noi leggiamo sui giornali e sulle riviste, soprattutto su quelle americane, della diffusione del Wi-Fi. Di conseguenza, anche in Europa e in Italia sogniamo che il Wi-Fi possa portare allo sviluppo di un’internet senza fili (non solo un’internet mobile), diffusamente presente sul territorio come negli Stari Uniti. Ma l'uomo della strada e quello di marketing dimenticano alcuni principi di fisica elementare, che invece noi non possiamo trascurare. Negli Stati Uniti un punto di accesso Wi-Fi a 2,4 gigabit/secondo può avere una copertura in campo libero di qualche centinaio di metri, perché ha una potenza fino a 30 dBm, più altri 6 dB di guadagno d’antenna. In totale un access point negli Stati Uniti rientra nella normativa fino a una potenza irradiata isotropica equivalente (su un quarto di sfera nel caso di una antenna con 6DB di guadagno) di 4 watt. In Europa c’è una norma completamente diversa, che dice che la potenza irradiata isotropica equivalente non può superare i 20 dBm. Che significa? Significa che c’è un rapporto come minimo di quaranta a uno tra la potenza irradiata disponibile negli USA e quella disponibile in Europa. Questi aggeggi, come abbiamo sperimentato nell’uso privato, passano un muro, ma non ne passano due, se il muro ha un certo spessore. C’è una differenza enorme con la situazione americana, ma questa cosa non è stata capita. Ora, siccome sono disponibili sul mercato italiano apparecchiature nate prevalentemente per il mercato americano, posso anche comperare un'antenna ad alto guadagno e un trasmettitore dal 100 mW a guadagno variabile, poi abbasso il guadagno di 16 dB, metto un’antenna Yagi che guadagna 16 dB e dico che sono in regola. Poi tiro su di 16 dB il guadagno del trasmettitore e sono in una situazione assolutamente irregolare. Il Ministero delle comunicazioni lo sa perfettamente, tanto che vorrebbe vietare l’uso della tecnologia Wi-Fi per fare ponti radio. Se rispetto la norma, in prima approssimazione, ho la stessa portata indipendentemente dal guadagno dell'antenna. Raffinando l'analisi, siccome l'antenna guadagna anche lato ricevitore, in realtà l'uso di antenne direzionali estende la portata senza infrangere la normativa ETSI. In una audizione pubblica abbiamo segnalato che comunque sarebbe opportuno autorizzare l’uso del Wi-Fi per fare quella che il Ministero chiama "interconnessione tra due reti locali" perché, oggi come oggi, per interconnettere una LAN da una parte della strada con una dall’altra parte posso solo prendere un CDN da Telecom Italia, che caro mi costa. Mentre, ammesso che questa tecnologia, così com’è, abbia 20 o 50 metri di portata (e ce l’ha, rispettando la norma), lo posso fare a basso costo.
D. Ma perché non si cambia la norma?
R. Perché questa è una norma europea, e prima di cambiare una norma europea ce ne vuole. Ma in realtà non è del tutto sbagliata, perché negli Stati Uniti (dove la normativa è molto complessa) per ogni 3 dB di diminuzione di potenza del trasmettitore si possono aggiungere 6 dB di guadagno suol’antenna. Per cui nei fatti si possono comperare delle antenne paraboliche da 30 dB di guadagno e diminuire la potenza del trasmettitore di 15 dB, e a questo punto uscire con 50 dB cioè circa 50 watt concentratissimi su un cono. Però a questo punto bisogna fare un ragionamento: stiamo parlando di 2.4 gigabit: guarda caso è proprio la frequenza di funzionamento dei forni a microonde. Perché questa tecnologia è di libero uso? Perché per cuocere un pesce o scaldare un po' d'acqua ci vogliono 800 watt. Se invece all’utente finale lasci usare una sciocchezza come 50 milliwatt, danni non ne può fare. Ma se gli consenti di trasmettere in un’unica direzione e qualcuno passa davanti all’antenna da 50 watt, si può fare una bella radioterapia! Non è il caso mettere in mano al grande pubblico una cosa potenzialmente pericolosa. Negli Stati Uniti con questo sistema si fanno ponti da 30-40 km. Ora il punto è che in Europa si è puntato a una totale deregolamentazione di questo settore, anche se si sono prese alcune precauzioni affinché questa tecnologia non possa far male. Io mi auguro che a nessuno venga in mente di mettere delle speciali regolamentazioni sull’uso pubblico di cose che non fanno male a nessuno. Perché, se poi ci dovessimo trovare delle regole di installazione che richiedono una speciale professionalità su una cosa che non può far male a nessuno, non abbiamo i vantaggi né da una parte né dell’altra. Per cui tutta la regolamentazione dovrà essere rivista. Questo è il primo problema.
D. E il secondo?
R. Il secondo problema è che se la potenza è elevata (i 30 dBm negli USA) succede quello che leggiamo sui giornali: vai in giro per la città e ti trovi accessi a Internet da tutte le parti. Se il fatto di trovare un accesso a internet disponibile dove non è pianificato può essere anche piacevole per certi versi, però presenta molti inconvenienti che devono essere attentamente valutati. Prima di tutto che il semplice fatto di averlo trovato vuol dire che in quel luogo qualcun altro non può mettere un altro accesso. Per cui il fatto di aver limitato la potenza è un male che non vien tutto per nuocere. Certamente impedisce di fare un uso diverso da quello ipotizzato inizialmente, quello di costituire un punto di illuminazione di un’area limitata, però impedisce anche di rompere le scatole al prossimo. Perché una cosa che è stata assolutamente dimenticata da tutti, in particolare da quegli operatori di telecomunicazioni che premono perché l’uso in un luogo pubblico di queste tecnologie sia riservato a loro, è che le carattersitiche di canalizzazione dei 2,4 gigabit (13 canali, però sovrapposti) offrono solo tre frequenze indipendenti. Che è il minimo necessario per fare una copertura di un’area con celle successive. Non c’è niente da fare. Anzi, essendo solo tre frequenze, questa copertura è inefficiente in quanto il riutilizzo delle frequenze è basso. Questo in pratica significa che data una superficie, per esempio un supermercato, un aeroporto, una piazza, ci può essere un solo soggetto che illumina questa zona correttamente, perché qualunque altro soggetto va a impedire al primo o è impedito dal primo. La controprova la troviamo se ci aggiriamo nei siti delle università americane: ci sono continuamente delle diffide rivolte agli studenti a mettere i propri access point, perché in un campus illuminato a cura dell'università, se qualcuno mette un access point proprio rovina il progetto di illuminazione. E’ legge fisica: se il bicchiere è pieno non puoi riempirlo di più, piaccia o non piaccia agli operatori di telefonia mobile. Quindi non c’è niente da fare, aree contigue devono essere illuminate da un unico soggetto. Questa cosa non è stata compresa dagli operatori, che puntano a ricoprire un aeroporto in concorrenza tra di loro. Il che è possibile solo se ogni operatore copre un’area limitata, e a questa copertura limitata concorre favorevolmente il fatto che la potenza è ridotta.
D. C’è anche il Wi-Fi a 5 gigabit: può servire?
R. Parliamo dello standard 802.11a oppure Hyperlan (il diverso nome indica solo che tra America ed Europa le frequenze sono diverse). Il problema è che a 5 gigabit la propagazione, a parità di potenza, è molto più limitata, circa un quinto. Questo significa che per una copertura di una superficie estesa ci vuole una densità di celle 25 volte superiore. Una copertura di questo genere è molto costosa, non solo per il costo delle celle, ma soprattutto per quello delle linee che devono collegare le celle. Il 5 gigabit probabilmente si svilupperà per l’illuminazione di zone in cui serve l’elevata velocità, 54Mbit/s globali per punto illuninato. E’ un sistema ideale per zone relativamente piccole che hanno bisogno dell’alta velocità, in parole povere un ufficio.
D. Dunque non va bene per diffondere l'internet veloce. Ma sembra di capire che neanche con i 2,4 gigabit non si va lontano. Fra l'altro si pone il problema del contratto di accesso. Se ogni volta si deve fare un contratto con l'operatore che illumina quell'area, non la finiamo più, posto che ogni singola area può essere servita da un solo operatore.
R. E' necessario che l’utente possa usare indifferente le aree di tutti questi soggetti, serve che queste aree abbiano un’interconnessione logica (nascono interconnesse perché sono interconnesse a internet), ma non basta che io sia in un’area per poter andare su internet, devo avere un abbonamento. Ci sono dei soggetti, che sono gli internet service provider (che si chiamino Tin.it, Libero o MC-link il discorso non cambia) con il quali l'utente ha già un contratto. E' necessario che l'abbonato a un ISP, quando incrocia un access point possa chiamare il suo ISP per avere l’accesso. A questo punto risolviamo tutti i problemi in una botta sola, perché ci sarà già un rapporto contrattuale (anche gratuito, non è detto che sia a pagamento), mentre sarà l'ISP a stipulare i contratti con i soggetti che illuminano le diverse aree. E’ chiaro che l’unico modello plausibile e possibile è questo. Quindi bisogna pensare a un modello di interconnessione per l’accesso laddove i dati, in quanto tali, sono già strutturalmente interconnessi, ma non c'è il permesso di usarli.
D. Siamo sempre lontani dalla soluzione del problema di fondo: come dare la larga banda a chi è escluso dai piani di copertura del territorio.
R. Diciamo che il Wi-Fi può servire per zone molto piccole, di tipo rurale, o un paesino. Dove l'utenza si sviluppa in un raggio di poche decine di metri si può pensare effettivamente a una copertura Wi-Fi, magari anche con una revisione delle norme per questo specifico uso. Però il problema è come portare internet ad alta velocità fino al paesino, perché non si puòprendere un CDN da Telecom Italia, costerebbe troppo. C'è una tecnologia per superare i pochi chilometri che possono dividere il paesino da una zona già servita di larga banda: il Wireless Local Loop (WLL), che è una tecnologia sui 28 GHz con con potenze molto più elevate. In pratica per coprire queste zone possiamo pensare a un modello misto, in cui il backbone è realizzato con il WLL, per il quale ci sono già delle licenze. Poi la distribuzione locale sugli ultimi cento metri si fa con il Wi-Fi. Allo stato delle cose ancora non si può usare questa soluzione, però l’interesse delle comunità montane e delle comunità rurali per questo tipo di applicazioni è altissimo. E il Ministro dell’innovazione ha preso a cuore il problema, fermo restando che allo stato delle cose una copertura di aree locali con raggio superiore a qualche decina dei metri in tecnologia Wi-Fi non è tecnicamente realizzabile, a meno di non violare totalmente la normativa ETSI o di creare una licenza apposita per offrire questo tipo di servizio. Anche su questo punto gli ISP hanno delle serie riserve, perché se ci deve essere una licenza apposita, devono poterla avere. Invece gli operatori di TLC ritengono che, se ci deve essere una licenza, deve essere solo per loro.
D. Bene, ci stiamo avvicinando all'obiettivo finale: dove conviene, si arriva con la fibra ottica e l 'xDSL, altrove si porta la fibra e si distribuisce via Ethernet, oppure si supera la distanza con il wireless local loop e si arriva a casa dell'utente con il Wi-Fi. E' giusto?
R. Più o meno. Riassumendo: il grosso del territorio si copre con l'xDSL, per il resto occorrono le tecnologie alternative. Una è la fibra "provinciale", che non è del tutto da scartare soprattutto in zone dove ci sono ancora da spendere dei fondi-obiettivo dell’Unione europea. Poi qualcos’altro possiamo fare con qualche ponte punto-punto su frequenze WLL (una leggera forzatura della licenza, ma è ammessa), e poi una faticosa distribuzione a livello di isolato, faticosa perché siamo ai limiti della portata e invece di mettere l’antennina sul portatile dovremo metterla fuori della finestra e arrivare con una Ethernet sul PC fisso. E la rifinitura finale la facciamo inizialmente col satellite e poi con una tecnologia di cui non abbiamo ancora parlato, la televisione digitale terrestre. Lo standard DVB prevede espressamente canali per la trsmisisone dati; il problema è sempre quello già visto col satellite: stiamo ipotizzando di impiegare un mezzo broadcast per un collegamento unicast; ma l'efficienza in questo caso è molto maggiore, perché l'area di copertura, e quindi i costi della banda, sono molto minori. Quella integrata è la miglior strategia cui possiamo pensare.
D. Che comunque richiede tempi abbastanza lunghi, tanto più che la normativa è ancora incompleta. Ma tutto questo è coerente con il piano dei ministri dell'innovazione e delle comunicazioni?
R. Il piano in realtà è un "driver" per far percepire alla popolazione l’importanza della larga banda. E' preziossissimo proprio per questo, anche se non sarà l’utenza privata a poterne usufruire in prima battuta. Ma il fatto che ci siano alcuni obblighi (e qualche finanziamento) per le pubbliche amministrazioni significa che la larga banda dovrà arrivare in molte aree in tempi non troppo lunghi. E a questo punto potranno usufruirne anche i privati.
D. I privati, e penso in particolare alle piccole aziende, agli studi professionali, non hanno tanto un'urgente necessità di banda "larga", quanto di banda "lunga", cioè di poter essere "always on" o almeno di avere lunghi collegamenti senza il cappio della tariffa a tempo e soprattutto degli scatti alla risposta. In parole povere, una ISDN "flat" o almeno "semi-flat". Se ne parla da tempo, ma i primi esperimenti hanno dato risultati economici disastrosi per gli operatori. Possibile che non ci sia una via d'uscita?
R. Bisogna essere ragionevoli: se si pensa ad un flat-rate che con qualche centinaio di euro/anno assicuri la disponibilità 24 ore su 24 di un circuto a 64 k, il flat rate non ci sarà mai, perché un solo circuito FRIACO (circuito di interconnessione flat rate) costa dai 1.100 ai 2.000 euro l'anno. E non si può pensare che qualcuno possa tenere in vita un'offerta in cui l'intero servizio di accesso ha un prezzo al pubblico pari ad un decimo dei costi che l'operatore sostiene per la sola interconnessione. Se viceversa si pensa ad offerte "più furbe" con limiti di quelche ora al giorno o in fasce orarie limitate, allora l'offerta flat rate può effettivamente svilupparsi e rappresentare un buon complemento dell'offerta a larga banda via satellite o televisione digitale.
www.akr.it
|
Paese: Italy ~
Invii: 516 ~
Membro da: 22/11/2001 ~
UltimaVisita: 09/11/2016
|
-> Moderatore
|
|
|
|
|
|